martedì 2 ottobre 2012

Ma quanto guadagna un medico di famiglia?

Non lo so come sono arrivata a pormi questa domanda, forse dopo quello che  successo negli ultimi giorni, forse perché cerco un motivo per il quale alcune categorie sembrano più tutelate di altre, forse per invidia (potrebbe anche essere... non lo escludo).
Ho cercato di mettere in relazione due professioni pubbliche, che hanno lo scopo di salvaguardare la società e soprattutto gli individui più "deboli" di essa.
Per poter paragonare i medici (nello specifico i pediatri) ho scelto la professione che più assomigliasse in termini di ruolo civile, ma anche di ore lavorate.
Medici Vs Insegnati.
Io non appartengo a nessuna delle due categorie (per fortuna o purtroppo... non saprei). 
Non lavoro nel pubblico impiego, essendo un banalissimo impiegato con contratto CCNL industria (ora mi spiego perché voglio fare i conti in tasca ai medici...).
Partiamo dalle ore lavorate.
Un pediatra riceve 5 giorni a settimana (il decreto secondo cui si dovrebbero aggregare i medici di base ed essere reperibili 24 ore al giorno, 7 giorni alla settimana che fine ha fatto???). Le ore di studio sono, in media, dalle 3 alle 4 ore al giorno (nemmeno mezza giornata insomma). La reperibilità non è garantita, nel senso che, a buon cuore del medico, può decidere se rispondere al telefono o fare visita a domicilio. 
Fuori dagli orari di visita, quindi, se hai bisogno o ti rivolgi ad un medico "privatamente" (a pagamento, ovviamente senza fattura) oppure andare al pronto soccorso.
Un insegnate lavora 5 giorni alla settimana, più o meno mezza giornata (tra rientri e ora di "buco" non superano le 5 ore giornaliere). E fino a qui pari.
Reperibilità... ecco un insegnante non ha l'obbligo di reperibilità, ma spesso li trovi a scuola, disponibili a fare supplenze in caso di necessità (è vero, ci sono quelli che leggono i giornali anche durante le ore di lezione... ma voglio considerare solo medici e insegnanti che lavorano, i parassiti poi li trovi ovunque).
Quindi, anche per la reperibilità possiamo considerare un pari.
Tempo impiegato per ottenere laurea e specializzazione.
Ecco qui iniziamo a trovare le prime differenze.
Un medico, prima di diventare tale, deve studiare almeno 6 anni all'università. Dopo bisogna proseguire con un corso di specializzazione, di durata tra i 2 e 5 anni, anche se non è obbligatorio (un medico può essere abilitato e lavorare anche senza specializzazione, tranne in alcuni rami). Diciamo che, mediamente se si è bravi, dopo 10 anni di studio si può finalmente lavorare.
Un aspirante insegnante deve studiare almeno 5 anni (3+2) e conseguire la laurea specialistica nella facoltà di interesse. Poi deve... deve... il percorso successivo è un po' articolato. Fino al 2008 bisognava frequentare una scuola di specializzazione all'insegnamento SSIS che ti permetteva l'introduzione all'insegnamento. Poi è stata abolita. Solo negli ultimi mesi si è ripreso a parlare di nuovi metodi di reclutamento nella pubblica istruzione. Ora pare che si parli di TFA Tirocinio Formativo Attivo, della durata di un anno e del costo variabile tra i 2500 e i 3000 euri.
Ok qui il pareggio cade. Un medico ha un percorso accademico di una durata sicuramente maggiore.
Stipendi medi.
Mediamente un pediatra massimalista (800 piccoli pazienti) guadagna attorno agli 8-10 mila euro netti mensili, con punte anche di 15 mila/mese.
Un insegnante di scuola media superiore con 25 anni di servizio non supera i €30.000 lordi all'anno.
I medici hanno vinto sugli insegnanti, senza alcun dubbio!!!

4 commenti:

  1. Cara, posso dirti che il ns pediatra prende 5000 netti al mese, dopo quasi 40 anni di onoratissima carriera (conoscenti intimi...). Mentre l'insegnante (e qui l'esperienza è diretta) non ne prendono, senza anzianità, più di 25mila, lordi. Ahimè.
    Non c'è confronto. Pazienza, a quanto pare siamo dei mveri e propri missionari!!!
    PS. Grazie per l'inclusione "esclusiva" :) e complimenti per la nuova veste grafica! :)

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    1. Buongiorno e grazie per i complimenti al nuovo vestitino :)
      Gli importi li ho recuperati in rete, sia quelli dei pediatri, sia quelli degli insegnanti. Non so come "funziona" la retribuzione dei pediatri, ma in linea generale mi sembra che per gli insegnati, da nord a sud, le regole siano le stesse.
      Mi è sfuggito il "piccolo" particolare dell'utenza delle due professioni, che riporta ad una situazione di 2-1, palla al centro.
      Un pediatra (come qualsiasi medico di base) ha un bacino possibile di utenza elevato, ma, alla fine dei conti, durante la giornata visita al massimo 10/15 bambini.
      Un insegnante, invece, ha intorno a sé un numero variabile di alunni, in base al numero di classi in cui insegna e al numero di alunni per classe...
      Giulia tu quanti alunni devi seguire in una giornata tipo?!?
      Non credo meno di 60...
      Mi aggiorni???
      buona giornata! ;)

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  2. Ciao,
    riprendo la tua ultima frase: "I medici hanno vinto sugli insegnanti" ed io direi che entrambi hanno vinto contro tutti quelli che lavorano nel settore privato.
    Chi sa dirmi quale lavoratore nel settore privato viene pagato così tanto in relazione alle ore di lavoro svolto?
    Qualcuno potrebbe rispondere: "i liberi professionisti (commercialisti, avvocati, medici, ecc.), quelli guadagnano tanto, ogni volta che vai ad un consulto privato partono dai 100 ai 300 euro per mezz'ora di consulenza".
    A volte è ancora vero (anche se non sono più i tempi di una volta, la concorrenza è tantissima e tutti operano sui prezzi), ma un professionista guadagna tanto solo all'apice della carriera, dopo almeno 15/20 anni di professione (ed alcuni neanche allora), dopo aver investito su se stessi per anni ed aver vissuto "vacche magre" per anni ed anni.
    Lo stipendio di ingresso di un giovane praticante di fatto non esiste (se non, bassissimo, per alcuni fortunatissimi), dopo 5/6 anni per molti sei ancora "tirocinante" (quindi al massimo ti allungano un rimborso spese che vogliono pure essere regolarmente fatturato),la fase successiva è legata al "buon cuore" del professionista affermato (ed ho detto tutto).
    Anche questi avvocati, commercialisti, architetti, ingegneri, ecc. si sono laureati come insegnanti e pediatri di cui sopra. Come loro si sono formati e sono costretti ad essere sempre aggiornati (in verità molto più degli insegnanti, che spesso si informano solo dei loro "diritti sindacali"), eppure la maggioranza di loro non arriverà mai ad avere una vita "comoda" e "tranquilla" come quella di un dipendente pubblico, vogliamo parlarne?
    Vogliamo pensarci quando qualche categoria professionale che opera nel pubblico scende in sciopero?
    Forse la chiave è avere tutti (ma proprio tutti) una migliore visione del mondo e della realtà evitando di limitarsi a guardare sempre la propria condizione ed a chiedere sempre,incodizionatamente,incessantemente "di più"!

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    1. Come non darti torto?!? Capisco bene l'amarezza di chi, dopo 10 ore in ufficio, alla fine del mese (o all'inizio... o peggio ancora dopo diversi mesi) viene chiamato a ritirare la busta paga.
      Niente aumenti (perché sta la crisi), niente premi di produzione (perché sta la crisi), nessun diritto a costruire una famiglia... nel settore privato non si cercano "professionalità", ma umanoidi programmati solo al profitto aziendale.
      Per una serie di motivi ho voluto "ragionare" su due professioni pubbliche, non facendo alcun riferimento al privato.
      La cosa più assurda (che purtroppo vedo quotidianamente) è che la meritocrazia, che dovrebbe essere il motore di un'azienda, in realtà non solo non esiste, ma è sottomessa a forme più bieche di lecchinismo e raccomandazioni.
      Nella mia condizione di metalmeccanico mi sento anche fortunata. Seppur non appartenente a nessun sindacato, lo stipendio base, le ferie e i diritti di maternità, sono sanciti da un accordo nazionale.
      Qualche diritto io lo ho.
      La libera professione, come giustamente hai sottolineato, non è poi tanto rose&fiori e non sempre si arriva ad entrate decenti dopo anni di praticantato.
      Che fare quindi?
      Me lo chiedo spesso. Me lo chiedo per me, ma soprattutto per le prossime generazioni.
      "C'est une Révolte?"
      "Non, Sire... c'est une Rèvolution"

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